Non solo 18 racconti.
Se la guardi da lontano la vita – di un individuo o di una collettività – è come
l’immagine che esce da un telescopio puntato sul cosmo.
La storia è un quadro in divenire, in cui qua e là si osservano “grumi”, cioè
“luoghi di addensamento”, “momenti di intenso ammasso”, in cui ogni componente
fluida si perde e resta solo materia, materia che si coagula e si rapprende
chiudendosi a giro. Ma poiché tutto è movimento, anche questo processo di
avvitamento non si sottrae alla legge del divenire, e il grumo si evolve in una
spirale che lo porta inevitabilmente a spandersi. Ovvero a sciogliersi, a nebulizzarsi
lasciando a galleggiare in sospensione grani. Grani che a loro volta
sono nuclei di potenziali nuovi grumi.
Avendo negli occhi questo quadro l’autrice dà la parola a un narratore che
apre e chiude la raccolta di racconti usando una tecnica narrativa e stilistica
che richiama proprio la dinamica del “grumo sciolto”. Il classico espediente
della cornice, che tiene i racconti, qui in vero è elastico, continua variazione
del tema madre. La voce narrante, che si presenta come un grumo arso ignaro
dell’acqua che lo culla, ad un tratto si lascia invadere da una condizione di
liquidità che lo rende granello fluente, inarrestabile narratore. Che passerà in
rassegna storie di grumi, e poi storie – quasi visioni – di grumi sciolti, fino a
snocciolare storie di grani (tre sono le sezioni che raccolgono i racconti). E
quando avrà finito l’ultimo racconto il narratore sentirà il bisogno di trattenere
qualcosa tra quelle sue dita che ormai sono sciolte e non vogliono più serrarsi
vuote.
Raccontare sarà il suo predicare, come una preghiera.