Gutta cavat, ovvero “la goccia scava”. Un brocardo latino troncato (lo ricordiamo nella sua versione integrale: “gutta cavat lapidem”) scelto dall’Autrice come titolo per la sua nuova raccolta di poesie. Perché la goccia? Cosa scava? Dov’è la pietra? Queste le domande che curiosità incalza. La storia tra le note di una nuova musica che Della Ciana ci propone. L’immagine della goccia rimanda all’acqua, ma non solo perché in natura ognuno dei quattro elementi si combina con gli altri. L’acqua ad esempio con il fuoco si riscalda e diviene vapore, cioè aria che condensata ritorna sulla terra come acqua. Dunque l’eterno ciclo che nelle sue variazioni si ripete e qui è preso a pretesto per scandire la partizione del libro. Ma v’è di più. L’uomo interviene e da sempre cerca di riprodurre il processo naturale nel proprio laboratorio dove ricava l’elemento fluido per distillazione. Ecco quindi che la goccia altro non è che il prodotto di un’alchimia e diventa l’immagine per antonomasia più aderente al “fare poesia”. La poesia vista come un grande alambicco dove si distillano parole: parole create, miscelate, inventate, quasi spremute, parole che cadono secondo un ritmo che il momento detta. Non la parola “scavata” di Ungaretti, ma la parola che “trasumana” e che consente, con l’azione costante e incessante del cadere, di modellare un linguaggio musicale che canta e per sonorità della parola e per combinazione ritmica delle parole. Nessuna forza dunque, nessuna pietra da riportare alla luce molata, ma il perseverante lavoro di gocce/parole che cadono regolarmente sì, ma secondo diversità di accenti che la melodia richiede. Il recupero di un eterno ritorno fatto di pieni e di vuoti, di attese e movimento, la nuova metrica di Gutta cavat. Insomma una poesia che, proprio assorbendo gli elementi naturali, è tesa a plasmare l’essenza dell’Uomo secondo una sorta di percorso pichiano che individua il rapporto col Divino: “Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine” (Giovanni Pico della Mirandola, De hominis dignitate, Heptaplus, De ente et uno e scritti vari, a cura di E. Garin, 2004).