Un incontro per riflettere, a duecento anni dalla composizione della più celebre lirica leopardiana, su un tema che non ha termine.
Si può dire che con Leopardi l‘uomo acquisisce coscienza del desiderio d’infinito.
“Infinito” che è qualcosa di diverso dall‘“eterno” agostiniano che centra l’immortalità dell’anima in rapporto al tempo. L’“infinito” di Giacomo, invece, travalica il tempo e lo incrocia con lo spazio, portandoci verso, o meglio, dentro l’Universo. Questa la genialità del poeta recanatese: riuscire a far diventare lo scompenso un idillio, ricorrendo al desiderio, alla razionalità mistica. E’ straordinario che dopo Bach si riesca ancora a comporre una fuga fantastica che è “arte dell’immaginazione”. Sì perché l‘infinito è concepito come una fuga a due voci. Questo e quello, presente e passato, spazio e tempo, silenzi e stormir di voci, il “caro” che esclude, il finito e l’infinito, la realtà sensibile e l’immaginazione intangibile, pensiero e arte. Un incanto che suona e come la musica trascende ogni linguaggio.
Con Andrea Matucci, che curerà l’analisi stilistica della lirica, e Stefano Brogi, che darà un taglio filosofico con specifico riferimento al pensiero leopardiano. Toccherà a Cinzia Della Ciana aprire i lavori con un suo testo originale, uno dei suoi solfeggi, un inedito appositamente composto per introdurre la serietà all’insegna del paradosso.
L’evento è organizzato in collaborazione con il Centro Culturale Perlamora di Figline Valdarno e costituisce l’anteprima del relativo relativo Festival.
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report dell’evento
“Serata serenata”: un idillio tra poesia e filosofia, questo L’infinito che è emerso all’Accademia Petrarca ieri pomeriggio nell’ambito della celebrazione del bicentenario della sua composizione. Una lirica che racchiude un cuore di tensione stilistica fatta di enjambements e sinalefi, un pensiero, quello di Giacomo, che ha molti “ infiniti” dal cosmologico all’estetico fino al metafisico. Andrea Matucci e Stefano Brogi “complementari” per questa “immensità” che non era facile contenere in un’analisi espositiva risultata invece brillante. Il mio incipit al loro trattare serio, un “solfeggio“ originale, quasi una simulazione à la manière de Le Operette morali.
In chiosa mi piace ricordare questo passo dell Zibaldone:
“Circa le sensazioni che piacciono pel solo indefinito, puoi vedere il mio idillio sull’infinito, e richiamar l’idea di una campagna arditamente declive in guisa che la vista di una certa lontananza non arrivi alla valle; e quella d’un filare d’alberi, il cui fine si perda di vista, o per la lunghezza del filare o perch’esso pure sia posto in declivio,…..
Una fabbrica, una torre ecc. veduta in modo che ella paia innalzarsi sola sopra l’orizzonte, e questo non si veda, produce un contrasto efficacissimo e sublimissimo tra il finito e l’indefinito ecc ecc …”(Zibaldone, 1430-31, 1 agosto 1821).