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Passaggi in Sicilia

Il viaggio /prima. E’ una dimensione di crescita interiore tra le più emozionanti, è la predisposizione a farsi assorbire dall’esterno per aprirsi all’interno, è l’impegno a salvaguardare la curiosità per la vita e a preparare il testamento per l’anima. E la Terra di Sicilia è sicuramente un mosaico prezioso che aiuta in questa direzione, un domino le cui tessere custodiscono segreti di storie affascinanti, difficili, magiche, crudeli e suggestive, un groviglio di meraviglia e abbandono, di sorprendenti contrasti, ma che va interpretato con grande attenzione. Si arriva a Punta Raisi con la gola alla montagna e l’occhio al mare, e quindi si scende lungo uno spicchio del triangolo siculo che è un giardino, da Alcamo fino al mare di Sciacca, quella perla che in arabo significa divide/spacca Agrigento da Mazara. Quel centro dove l’acqua è pesca e terme, dove la ceramica imbriglia colori che il cielo spazza e fa correre per scalinate impervie. E quindi ancora viaggio verso il cuore della Magna Grecia, dove si arriva a sera e al buio si prega. Ma questo è un’altra puntata.

Il viaggio/seconda. Le case natali dei grandi sono sempre luoghi di indagine, non tanto per l’omaggio che rendono al loro personaggio ma per gli elementi di vita che tengono della persona. E la casa natale di Pirandello è un caleidoscopio di quel suo mondo cervellotico fatto di pensiero e profondamente intriso della Sicilia, di una Girgenti sospesa fra templi e mare, dove le sue ceneri sono tornate a riposare alla fine di una camminata che borda la costa fra terra grassa, olivi e pini davanti al fragore di un mare africano. Davanti sta Porto Empedocle. Luogo di culto di altro mitico scrittore: Camilleri che ivi ha costruito tutto il suo teatro. Perché anche con lui di teatro in fondo si parla. E sempre contrasti urbanistici ci lasciano pensare.

Il viaggio/ terzo. Il grand tour non è mai finito forse. E te ne accorgi qui nel parco archeologico più esteso d’Italia, la cd. valle dei tempili. Erano undici per volontà di quei Magni Greci della Sicilia, poi ridotti a un pugno per la stupidità delle guerre e per l’incuria che in certe epoche di abbandono subentra. Qui comunque non sei in una valle, anche se Guy de Maupassant tale impropriamente la battezzò. Sei in un pianeta eletto di cui gli antichi captarono la magneticità. Enormi cattedrali di colonne prospettiche fatte di calcarenite, e quindi di un impasto millenario di sabbia e conchiglie, che si accendono di oro al sole e maturano all’imbrunire. Tutte in linea oriente/occidente, tutte che rispondono a regole precise, a geometrie, numeri e calcoli e sforzi ciclocipici che rendono la bellezza un fatto oggettivo – anche se la realizzazione non poteva prescindere dalla schiavitù. Si sono succedute qui una serie di dominazioni che sono passate sopra a quelle colonne e hanno tentato di farne chiese, e intorno un lago enorme di cimiteri. Di nuovo il mistero della morte come spinta per la vita, la religione per elevare l’uomo dalla insopprimibile finitezza. Nella notte eravamo, e ancora siamo magari con scenografie diverse. Alla fine resti stordita da un’immensità di che la storia ti schiaffa in faccia.

Il Viaggio/quarta. Qui in Sicilia il Rinascimento non ha colpito; qui influssi greci, arabi, normanni e spagnoli si mescolano fra loro e diventano il Tardo Barocco, quello che il vento africano ha gonfiato e poi prolassato, quello che il tempo avaro di perdono ha affumicato, quello che il vecchio-bambino ha invetriato di maioliche coloratissime. Uno stile che si esprime con variazioni su tema che colpiscono in gran parte chiese, ma anche palazzi e scale. Ti colpiscono quelle città che spiccano in alto, con le cupole lucenti e strategiche, dall’arsura del mare che nel fondo valle rimane. La matrice del nome spesso è araba e “calt” sta per castello. Come Caltagirone sdraiata su tre colli fra la val di Noto e quella di Enna, unita dal ponte e da scalinate, con la ceramica che brilla fortunata di pigna. E poi la vicina prestigiosa normanna-aragonese Piazza Armerina che oltre alle chiese conserva antichi lavatoi che ancora offrono dolce la buonissima acqua corrente. E qui resta superba anche un’altra impronta quella dei Romani. La Villa del Casale è l’esempio supremo di villa di lusso romana tardo-imperiale e simboleggia l’utilizzo del territorio da parte dei Romani in quanto centro della grande proprietà sulla quale si basava l’economia rurale dell’Impero d’Occidente. E’ famosa per la ricchezza e la qualità dei suoi mosaici eseguiti da maestri africani. Un tesoro musivo di 3.500 mq che testimonia le abitudini di vita della classe dominante romana e mostra le influenze reciproche tra le culture e gli scambi nel Mediterraneo antico – tra mondo romano e area nordafricana. Percorrere quell’itinetario e come immergersi in un film muto ma a colori. E ancora non puoi viaggiare senza gli incontri, che qui sono speciali per la generosità e la cura che si ha dell’ospite, una attenzione che caratterizza il popolo siciliano.

Il viaggio/quinta. Girgenti ne vogliamo parlare? Quanto si dovrebbe, a partire dal nome: Akragas per i greci, Agrigentum per i Romani, Kerkent sotto gli Arabi, Girgenti per i Normanni fino all’avvento del fascismo che la ribattezza romanissima Agrigento . Ma a noi piace alla Pirandello, Girgenti. Città alta, città fortificata, città che guarda i templi, città che segue il crinale con le facce di grattaceli orientate al mare e sbeccolata dalla salsedine, riempite di parabole e condizionatori, chiese magnifiche che svettano, come la gloriosa cattedrale di San Gerlando, e che nascondono altre chiese, come la terra nasconde altre terre. E poi vicoli, e ancora vicoli con scalinate faticosissime, strati di stretti di edifici ammassati alla maniera araba. Città capitale europea della cultura 2025!!! La Sicilia che chiama.

Il viaggio/sesta. Saluto la Trinacria da questo avamposto dell’unità d’Italia. Qui il 14 maggio 1860 Garibaldi piantò sulla torre del castello normanno-avevo il primo tricolore e Salemi per un giorno fu capitale d’Italia. Quello che è stato dichiarato uno de I Borghi più belli d’Italia. ti immerge in mille anni di storia e cultura ebraica, cristiana e musulmana che hanno lasciato in eredità un ricco patrimonio artistico. Posta a oltre 400 metri di altezza, alle pendici del Monte delle Rose, Salemi gode di un panorama vasto, aperto su vigne e uliveti della Valle del Belice. Qui gli Arabi, oltre a favorire lo sviluppo economico ed agricolo, le cambiarono il nome da Alicia in Salemi che significa guarda caso città salubre e di pace. Salemi si sviluppò ulteriormente sotto il dominio dei Normanni che costruirono il castello. Poi il potere passò agli Angioini, quindi fu fortificata dagli Aragonesi e poi amministrata dai Borboni fino all’arrivo di Giuseppe Garibaldi, che qui era atteso, dopo lo sbarco di Marsala, da una schiera coraggiosa di picciotti pronti a seguirlo. Restano pieni di fascino oltre al castello, numerose chiese di barocco evoluto, vicoli e vicoli che si avvitano per giungere alla sommità dove la chiesa madre dedicata a San Nicola ora piange le sue rovine coraggiose dopo il terremoto del 1968. Quel pavimento che ha solo cielo come coperta e quegli altari che pregano il cielo ricordano una sorta di San Galgano. Qui la natura, direbbe il Leopardi, sa essere matrigna. Tanti i conti che vanno fatti quadrare in questa Terra di mandorle e zolfo, di melagrane e arance, di fichi e di spine sanguinanti. Il famoso #futtitinni a volte puó non esser la soluzione.

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