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Alfonso Gatto, Poesie – scelte e commentate da Andrea Matucci

Di Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976) si conosce la poetica, si apprezzano le poesie pubblicate sparse o nel loro insieme, ma fino ad oggi non esisteva un’antologia ordinata, significativamente lunga, con un commento e un’analisi dei testi.

Andrea Matucci ha avuto l’intuizione di colmare questa lacuna, selezionando 90 liriche in sequenza cronologica ed esaminandole una ad una sia sotto il profilo metrico, che tematico, forma e sostanza dunque. Ne viene fuori un ritratto per la prima volta esaustivo della produzione dell’Autore salernitano, secondo quelli che sono i suoi stessi desiderata: “voglio che la poesia sia la sola a dire chi sono, come sono vissuto e perché”. Certo Gatto sarebbe stato lieto della ricerca del Matucci, che con il solo aiuto delle sue parole, così come combinate, ha proiettato in modo scientifico immagini e suoni che quelle evocano invitando a riflettere sull’emozione.

Un viaggio, dove si passa da una memoria infantile a una consapevolezza adulta, amara ma mai rassegnata, attraverso molteplici vicende che da private e introspettive si fanno via via più aperte alla società e ai drammi della storia, così come è accaduto a tutti i poeti della sua generazione.

Prevale spesso in Gatto una vena squisitamente pittorica, perché fu pittore prima che poeta e questa sua caratteristica viene messa in risalto da Matucci sistematicamente testo per testo. Fino all’ultima raccolta pubblicata in vita (Rime di viaggio per la Terra dipinta) che avrebbe dovuto essere una serie di poesie ciascuna collegata a un quadro e che invece fu solo il catalogo di una sua mostra. Simbolicamente l’ultima lirica in analisi (Notturno a Montmartre)  corrisponde al quadro riprodotto in copertina come punto di arrivo (ma al tempo stesso incipit per il principio della circolarità causale) di una ininterrotta ricerca sul rapporto tra parola e immagine.

Ma anche tra parola e mito dal momento che “la parola non libera se miete/ la sabbia delle vittime.”

Il libro ha una prefazione augurale di SIlvio Ramat, cui segue l’introduzione di Giuseppe Cerbino, il quale ultimo acutamente paragona l’opera a una sorta di canto a due voci in cui poeta e curatore si attraversano e si intersecano vicendevolmente, quasi inseguendosi in un incessante dialogo, come in una partitura di Bach. Una sorta di Toccata e Fuga, dove testi e analisi che si chiamano spontaneamente quasi per affinità elettiva.

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